Torre di Velate |
|
Quando la Famiglia Zambeletti l'ha donata al FAI nel 1989, la Torre era ridotto a un rudere alto oltre 30 m. affiancato da un corpo ad angolo, alto 16 mt. Oggi, a seguito dell'intervento di restauro che ha permesso il riconoscimento e la documentazione di quanto è ancora conservato dell'apparato decorativo originale, è possibile immaginare l'impatto che la maestosa costruzione poteva avere su un paesaggio poco edificato, ai margini della città. Le indagini archeologiche condotte sulla Torre a partire dal 2001, hanno permesso di individuare all'interno della torre il tratto di fondazione meridionale originario e un pilastro portante in pietra posto al centro della torre. Tale scoperta ha consentito di formulare nuove ipotesi sulla tecnica costruttiva dei piani pavimentali. È stato infine portato alla luce uno strato con evidenti segni di incendio che coincide probabilmente con la devastazione del XII secolo: qui gli archeologi hanno recuperato alcune monete d'argento coniate dalla Zecca di Milano; esse furono quasi certamente utilizzate durante la breve età comunale della Torre. Se la vita dell'edificio come baluardo militare termina agli albori del Basso Medioevo, approfondite ricerche ci informano sulla sua conversione agricola (circoscrivibile ai secoli XIII e XIV ) per mezzo di vigneti a terrazzamenti dell'area circostante. Altri ritrovamenti tra cui monete sforzesche e frammenti ceramici testimoniano infine la vitalità del sito di Velate almeno fino al 1600. In posizione più elevata, sorgeva la torre del fortilizio di Santa Maria del Monte, chiamata "torre della Vittoria o degli ariani" collegata visivamente al castello di Masnago e a Velate, in posizione più elevata, . Il suo nome e la sua storia sono legati alla fondazione della chiesa di S. Maria da parte di S. Ambrogio, vincitore sugli ariani nel 389. La presenza della fortificazione è infatti documentata in una pergamena del 974 che cita la "ecclesia S. Mariae sita castro Monte Vellate". Col passare dei secoli il castello e la torre persero le originarie funzioni per essere inglobati nel piccolo borgo di S. Maria del Monte, sorto intorno alla chiesa, divenuta un venerato santuario. Oggi la torre, massiccia e quadrangolare, si trova nel recinto del monastero delle Monache Romite Ambrosiane e dal 1500 è stata trasformata in una cappella di preghiera. Sovrasta Velate, e sta dirimpetto al Sacro Monte, il Monte San Francesco o meglio Il monte San Francesco in Pertica, che per almeno quindici secoli ha vauto una storia parallela a quella del suo ben più famoso dirimpettaio: il Sacro Monte di Varese . Una storia che comincia nel terzo secolo dopo Cristo , quando secondo una leggenda Sant'Ambrogio sconfiggeva gli eretici più temibili dell'epoca, gli Ariani, proprio al Sacro Monte: ma c'è chi legge in quel monte sopra Velate (a cui alcuni cronachisti, in varie epoche, associano il presunto evento) come il monte San Francesco, da sempre collegato al borgo velatese da un sentiero – l'unico – che passava da lì per raggiungere proprio il Sacro Monte. A riprova della contiguità dei due luoghi c'è un altro dato evidente: al monte San Francesco esistono ancora le fondamenta di una torre gemella della cosiddetta torre degli Ariani – tradizionalmente indicata come quella dove si sarebbero arroccati i nemici di Sant'Ambrogio – che ancora sorge sul punto più alto della collina alle spalle del Santuario, nella proprietà del monastero delle Romite Ambrosiane . Un ricco ed appassionato studio storiografico ed archeologico – commissionato una decina di anni fa dal Soroptimist Club di Varese ad un gruppo di studenti universitari guidati dall'archeologa Paola Scioli, proprio per richiamare l'attenzione della Soprintendenza regionale sull' importanza storico-archeologica del monte San Francesco – documenta lo stretto rapporto tra questi due avamposti di vedetta, notevoli per importanza nel periodo basso-imperiale, a causa dell'arretramento del limes – il limite a Nord dell'Impero romano - determinato dai sempre più numerosi sconfinamenti delle bellicose popolazioni barbariche. Successivamente, quella strada militare che collegava i due monti, sarebbe diventata la via dei pellegrini che si recavano al santuario di Santa Maria del Monte. Ma già in epoca longobarda alcuni documenti provano che il toponimo in Pertica è legato al culto funebre dei guerrieri. Narra infatti Paolo Diacono , storico e narratore longobardo del VII secolo: "Quando un guerriero moriva in terra lontana, i suoi parenti piantavano in suo ricordo una pertica, sormontata da una colomba con la testa rivolta al luogo dove era scomparso il loro caro" .
Dunque il territorio della" località di Vellate dove dicesi in Pertici" era già importante e noto ben prima di essere associato all' insediamento francescano: sono numerosi gli atti notarili che riportano con questa denominazione passaggi di proprietà tra i notabili del tempo, e in arco di tempo documentato che va dal 1173 al 1289. Ma nel frattempo, agli inizi del Duecento, il monte si lega definitivamente ai francescani, con una presenza che, secondo alcuni studiosi, potrebbe anche essere stata la prima in assoluto nel territorio di Varese: è in questi anni, essendo ancora San Francesco vivente, che i frati francescani cominciano a diffondersi anche in Lombardia. Una leggenda attribuisce allo stesso Sant'Antonio da Padova , che è il primo Provinciale lombardo dell'Ordine, la fondazione del primo insediamento francescano a Varese. È Goffredo da Bussero che definisce il monte sopra Velate con l'odierna denominazione: "In monte de Vellate ecclesia Sancti Francisci". Il cronachista del XIII secolo è l'autore del Liber Notitiæ Sanctorum Mediolani, in cui sono elencate le chiese e gli altari della diocesi milanese dedicati ai diversi santi. Si tratta di un documento importantissimo per la datazione degli edifici sacri. Questi frati – sicuramente francescani nel XIII secolo, come si deduce dal nome dato alla Chiesa – avevano comunque fatto una scelta di vita appartata e lontana spiritualmente molto più di quei tre chilometri di accidentato sentiero che ancor oggi dividono il monte dal borgo di Velate. Ma le cose possono essere cambiate proprio nella seconda metà del Cinquecento, all'epoca di san Carlo Borromeo e di quella Controriforma religiosa che doveva contrastare i nuovi eretici protestanti. L'immagine che la Riforma luterana e calvinista dava di sé era quella che si rispecchiava meglio in un mondo nuovo che doveva dare un taglio netto alle vecchie tradizioni ed usanze, mentre i cattolici erano accusati di essere corrotti ed infiacchiti dai piaceri mondani, Dunque anche alla Chiesa cattolica serviva una modernità concorrenziale al nuovo ordine protestante: è questo il messaggio contenuto nelle nuove disposizioni in materia di dottrina della fede, che il Concilio di Trento sancisce definitivamente nel 1563. Sarà un caso forse che anche gli zelanti esecutori delle norme conciliari, così come i loro antagonisti luterani e calvinisti, se la prendono con quel mondo che aveva convissuto pacificamente con tradizioni religiose e costumi di vita arcaici, bollandoli come espressione di un mondo oscuro e demoniaco ? Un mondo fino ad allora naturale , in cui la religione accudiva ancora un popolo che, per la gran parte ridotto alla massima indigenza, era bisognoso di leggere negli eventi naturali un qualche senso per la propria esistenza. Era lo stesso ambiente e la stessa epoca in cui sorse la spiritualità delle Romite ambrosiane, che la gente chiamava le selvatiche per la loro radicale scelta di vivere nei boschi, fuori da ogni mondanità. Si narra in uno degli eventi miracolosi attribuiti a Caterina Moriggi (fondatrice dell'ordine monastico tuttora attivo al Sacro Monte) che, all'indomani della sua morte nel 1478, fu un padre Jacopo di San Francesco in Pertica a condurre una fanciulla affetta da una grave forma di sordità causatale da cisti facciali; questa portò al feretro una maschera di cera con la sua effigie e la Beata compì il miracolo della guarigione. Ma circa un secolo dopo forse questo mondo era soltanto pericoloso e si dice che nel suo zelo purificatore San Carlo arrivasse perfino a dare ordine di abbattere tutte quelle piante secolari che la tradizione associava ad un culto religioso naturale con evidenti radici pre-cristiane. La via al convento di San Francesco in Pertica non era più necessaria: e difatti ai primi del Seicento fu costruita la via sacra dei Misteri del Rosario che conduceva al santuario da tutt'altra strada rispetto a quella che per secoli aveva condotto a quei luoghi guerrieri longobardi, militari romani, frati francescani, romite selvatiche e pellegrini.
Per un approfondimento: San Francesco in Pertica, all'ombra dei grandi |